Obiettivo del lavoro é quello di determinare, mediante un´analisi degli aspetti storici, etici e normativi, l´ambito d´influenza e di applicabilità degli strumenti normativi derivanti dalla ratifica e dal rispetto delle cosiddette "Dichiarazioni Universali", che dal 1946 ad oggi, appunto, sono fiorite e si sono diffuse, assumendo un ruolo determinante soprattutto nel campo della tutela dei diritti fondamentali. Tali "dichiarazioni" sono considerate, nell´ambito del Diritto Internazionale, strumenti di "Soft Law". La "Soft Law" é una terza fonte di diritto internazionale che ha avuto un rapido sviluppo e una rilevante diffusione negli ultimi decenni soprattutto per trattare argomenti particolari come per esempio la tutela dei diritti umani, la difesa dell'ambiente e definire le tematiche che attengono alla bioetica. La categoria delle cosiddette "Soft Laws" include una grande varietà di strumenti normativi: dichiarazioni, raccomandazioni, risoluzioni, carte, etc. Gli accordi presi mediante l'utilizzo di una Soft Law é spesso definito, diversamente dai trattati, non vincolante. Archetipo degli strumenti di "Soft Law" che si era prefissato di avere una risonanza di livello globale é stato senza dubbio il Codice di Norimberga. Di qui, il punto di partenza di un percorso analitico che, attraverso la lettura dello sviluppo degli ordinamenti internazionali ed interni alle singole nazioni (nel caso specifico Italia e Germania), si propone di individuare una chiave per decodificare le problematiche attuali che attengono al mondo della bioetica in generale, e del rapporto Medico-Paziente o Ricercatore-Soggetto coinvolto in una sperimentazione. Di qui, l´attenzione si sposta verso il rapporto Medico/Scienziato- Paziente e, soprattutto, sulla realtà del nuovo ruolo che gioca il paziente in questa "diade". Attraverso una rilettura attenta e una contestualizzazione delle "regulations" che appartengono al passato, e ponendole in costante raffronto con le attuali normative e regolamentazioni, é possibile dedurre l´esistenza di uno spirito univoco, che da sessant´anni caratterizza il mondo scientifico e medico nella sua attività pratica ed il mondo politico nella sua attività di regolamentazione. Inoltre, il lavoro si propone di compiere uno sguardo d´insieme del sistema sanitario tedesco, della sua normativa in materia di sperimentazione clinica e di analizzare le strutture che si trovano alla base del sistema delle Ethikkommissionen e del Deutscher Ethikrat.
Questo articolo riporta una sintesi dei risultati del programma P.I.P.P.I. nelle 4 edizioni del programma che vanno dal 2013 al 2017 a cui hanno partecipato 109 AT lavorando con 1.812 bambini appartenenti a 1.537 nuclei familiari. L'analisi si riferisce al raggiungimento degli obiettivi prefissati rispetto alle variabili di esito finali, intermedie e prossimali, che riguardano lo sviluppo dei bambini, la risposta ai bisogni dei bambini da parte dei genitori e un'azione efficace dei servizi. Vengono prese in esame le informazioni raccolte dagli operatori attraverso gli strumenti offerti dal Programma nelle attività di analisi, progettazione e monitoraggio del lavoro con le famiglie. In riferimento ai contesti in cui si realizza il programma, si propone il caso della Lombardia come esempio di integrazione del programma nel proprio sistema di governance.
L'anno 1919 fu il culmine di una malattia mortale che, sebbene abbia origine negli Stati Uniti, è nota come influenza spagnola. Il virus più mortale della storia, che uccise circa 100 milioni di persone. In Persia, il territorio occupato delle forze dei tre superpoteri di quel tempo, la Gran Bretagna, la Russia e l'impero ottomano, e i loro conflitti militari sul suolo persiano, avevano causato la distruzione del paese e il suo tumulto economico; una presenza che ha causato anche la diffusione dell'epidemia dell'influenza spagnola in tutto il territorio persiano, ma non solo, che ha anche avuto uno dei più alti tassi di morte per malattia al mondo. Un accadimento poco conosciuto che in questo articolo verrà approfondito e analizzato.
Muovendo da una recente ricerca sistemologica e dal dibattito sul metodo comparativo, il contributo propone previamente una riflessione sulla validità euristica delle categorie tipolo-giche del diritto comparato privato e pubblico, e sulla loro utilizzabilità nell'indagine dei fenomeni di trans-nazionalizzazione e di globalizzazione. Nella stessa prospettiva, l'analisi si sofferma sui tentativi di "deformalizzazione' della scienza giuridica classica (soprattutto costituzionale), nella prospettiva di un approccio realista maggiormente attento alle tematiche del diritto vivente e dei soggetti concreti dell'ordinamento giuridico. L'analisi affronta quindi le tematiche che hanno caratterizzato la formazione del diritto primario dell'Unione e al suo interno l'apporto della Corte di giustizia al riconoscimento per via giurisprudenziale di diritti fondamentali al livello europeo, avvalendosi a tal fine delle "tradizioni costituzionali comuni agli stati membri dell'Unione". Nelle conclusioni si propone, infine, un interrogativo relativo al diritto di formazione giurisprudenziale della Unione in materia di tutela dei diritti fondamentali. Tale formazione porta infatti a chiedersi, in chiave sistemologica, se si tratti di una peculiarità dell'ordinamento europeo, ovvero di un caso esemplare (case study) destinato a influenzare, se non anche l'origine, gli sviluppi degli ordinamenti giuridici a livello globale in questa materia.
La dottrina delle corporate opportunities si inserisce nel vasto tema degli agency costs connessi al rapporto tra azionisti e amministratori e pertanto costituisce un argomento comune a tutte le società per azioni dei paesi a economia avanzata. Il legislatore italiano del 2003 ha affrontato la questione con una norma sostanzialmente incompleta: essa prescrive essenzialmente che una data condotta è vietata e fonte di responsabilità per l'amministratore infedele. Non è detto ciò che si intende per opportunità d'affari, né se l'appropriazione, di per sé illecita, può essere autorizzata dalla società e a quali condizioni. La questione, del resto, è comune a tutti gli ordinamenti con strutture societarie analoghe, quindi è necessario guardare agli Stati in cui le regole si sono formate progressivamente dietro sollecitazione della giurisprudenza e tramite un costante affinamento dottrinale. L'introduzione dell'ultimo comma dell'art. 2391 c.c. in occasione della riforma del diritto societario evoca l'immagine, già utilizzata con riferimento ad altri istituti, del legal transplant, ovvero di una trasposizione artificiale che non tiene conto del contesto in cui opera. Prima ancora però di analizzare la norma in questione nell'ordinamento italiano in rapporto alle peculiarità di questo sistema, è necessario rivolgere l'attenzione, per quanto possibile, dentro l'apparato normativo nel tentativo di mettere in luce i fondamenti della dottrina in esame. Questa analisi di base è largamente comune a tutti i sistemi giuridici e prescinde dalla questione dell'enforcement della regolazione ottimale. Il lavoro intende offrire un contributo alla definizione di corporate opportunity, concetto nuovo all'ordinamento italiano. La definizione, infatti, è l'elemento essenziale della dottrina della corporate opportunites e per molti aspetti anche il più incerto. Il nodo centrale è la nozione di opportunità sociale, dove sociale sta per "appartenente alla società", in base a un rapporto di appartenenza in termini di attribuzione di property rights. A tal fine si analizzeranno criticamente i tests elaborati dalla giurisprudenza statunitense, nel tentativo di rintracciare un comune denominatore che orienti il giudizio. Nel fare ciò si è rivolta particolare attenzione alle teorie sottostanti ai vari tests, evidenziando come la definizione di corporate opportunity sia in larga misura una conseguenza della teoria generale del rapporto tra managers e azionisti. In conclusione si svolgono alcune considerazioni sulle modalità di trasposizione della corporate opportunity doctrine nell'ordinamento italiano, in particolare nel contesto degli interessi degli amministratori. ; La dottrina delle corporate opportunities si inserisce nel vasto tema degli agency costs connessi al rapporto tra azionisti e amministratori e pertanto costituisce un argomento comune a tutte le società per azioni dei paesi a economia avanzata. Il legislatore italiano del 2003 ha affrontato la questione con una norma sostanzialmente incompleta: essa prescrive essenzialmente che una data condotta è vietata e fonte di responsabilità per l'amministratore infedele. Non è detto ciò che si intende per opportunità d'affari, né se l'appropriazione, di per sé illecita, può essere autorizzata dalla società e a quali condizioni. La questione, del resto, è comune a tutti gli ordinamenti con strutture societarie analoghe, quindi è necessario guardare agli Stati in cui le regole si sono formate progressivamente dietro sollecitazione della giurisprudenza e tramite un costante affinamento dottrinale. L'introduzione dell'ultimo comma dell'art. 2391 c.c. in occasione della riforma del diritto societario evoca l'immagine, già utilizzata con riferimento ad altri istituti, del legal transplant, ovvero di una trasposizione artificiale che non tiene conto del contesto in cui opera. Prima ancora però di analizzare la norma in questione nell'ordinamento italiano in rapporto alle peculiarità di questo sistema, è necessario rivolgere l'attenzione, per quanto possibile, dentro l'apparato normativo nel tentativo di mettere in luce i fondamenti della dottrina in esame. Questa analisi di base è largamente comune a tutti i sistemi giuridici e prescinde dalla questione dell'enforcement della regolazione ottimale. Il lavoro intende offrire un contributo alla definizione di corporate opportunity, concetto nuovo all'ordinamento italiano. La definizione, infatti, è l'elemento essenziale della dottrina della corporate opportunites e per molti aspetti anche il più incerto. Il nodo centrale è la nozione di opportunità sociale, dove sociale sta per "appartenente alla società", in base a un rapporto di appartenenza in termini di attribuzione di property rights. A tal fine si analizzeranno criticamente i tests elaborati dalla giurisprudenza statunitense, nel tentativo di rintracciare un comune denominatore che orienti il giudizio. Nel fare ciò si è rivolta particolare attenzione alle teorie sottostanti ai vari tests, evidenziando come la definizione di corporate opportunity sia in larga misura una conseguenza della teoria generale del rapporto tra managers e azionisti. In conclusione si svolgono alcune considerazioni sulle modalità di trasposizione della corporate opportunity doctrine nell'ordinamento italiano, in particolare nel contesto degli interessi degli amministratori. ; LUISS PhD Thesis
National audience ; Parlando di patrimonio, di siti naturali e culturali da preservare, da salvaguardare, da proteggere, ci si trova spesso di fronte all'idea – senza dubbio preconcetta-dell'esistenza di un mitico ed immutabile " luogo tecnico neutro " che includerebbe l'eredità culturale globale. Questa visione, diffusa con la migliore delle intenzioni, si scontra con una realtà assai più complessa, realtà che ci mette di fronte ad un'evidenza: uno spazio tecnico assoluto, obiettivo, super partes, non esiste né nel governo delle Nazioni né in quello del patrimonio culturale. Si tratta di luoghi inscindibili dal loro riferimento politico. I processi di patrimonializzazione e i sistemi di protezione del patrimonio sono espressione di un corpus sociale (quello che attribuisce un valore culturale ad un oggetto materico, sufficiente ad ultrapassare il suo valore funzionale e renderlo dunque degno d'essere volontariamente conservato e tramandato) e del potere politico in carica nello stesso momento (che assicura la gestione dei beni). Le nozioni di patrimonio culturale e di salvaguardia dell'eredità – indipendenti tra loro ma estremamente interconnesse-prendono vita, nelle loro configurazioni moderne, nell'Europa del XIX secolo e sono impregnate di positivismo che si risente anche nei loro sviluppi
National audience ; Parlando di patrimonio, di siti naturali e culturali da preservare, da salvaguardare, da proteggere, ci si trova spesso di fronte all'idea – senza dubbio preconcetta-dell'esistenza di un mitico ed immutabile " luogo tecnico neutro " che includerebbe l'eredità culturale globale. Questa visione, diffusa con la migliore delle intenzioni, si scontra con una realtà assai più complessa, realtà che ci mette di fronte ad un'evidenza: uno spazio tecnico assoluto, obiettivo, super partes, non esiste né nel governo delle Nazioni né in quello del patrimonio culturale. Si tratta di luoghi inscindibili dal loro riferimento politico. I processi di patrimonializzazione e i sistemi di protezione del patrimonio sono espressione di un corpus sociale (quello che attribuisce un valore culturale ad un oggetto materico, sufficiente ad ultrapassare il suo valore funzionale e renderlo dunque degno d'essere volontariamente conservato e tramandato) e del potere politico in carica nello stesso momento (che assicura la gestione dei beni). Le nozioni di patrimonio culturale e di salvaguardia dell'eredità – indipendenti tra loro ma estremamente interconnesse-prendono vita, nelle loro configurazioni moderne, nell'Europa del XIX secolo e sono impregnate di positivismo che si risente anche nei loro sviluppi
A due secoli dall'avvio del costituzionalismo liberal-democratico, l'ordinamento giudiziario sembrerebbe aver compiutamente realizzato la sua parabola, vedendosi riconosciuto come potere dello Stato (autonomo e indipendente), mediante previsioni costituzionali espresse o anche sulla base di mere disposizioni legislative. In tale quadro, l'analisi affronta le tematiche della 'giurisdizione' e della 'giustizia' nell'ottica del diritto dell'Unione europea, sottolineando gli effetti giuridici prodotti dall'art. 6 del Trattato di Lisbona (con l'incorporazione sostanziale della Carta dei diritti fondamentali dell'UE all'interno dei nuovi trattati e con l'adesione alla CEDU da parte dell'Unione). Secondo quanto viene osservato, tuttavia, l'esperienza degli ordinamenti europei, nel fondo, non consente di poter cogliere una tradizione costituzionale comune agli Stati membri (per come affermato dalla Corte di Giustizia dell'UE) quanto piuttosto la garanzia in tutti gli ordinamenti nazionali, nella CEDU e ora nell'art. 47 della Carta di Nizza/Strasburgo, del diritto del soggetto ad un ricorso effettivo dinanzi ad una autoritŕ giurisdizionale, indipendente e imparziale, precostituita per legge, nel quadro di un processo equo, garantito nel contraddittorio, ragionevole nella durata.
Il diritto dell'Unione europea possiede oggi un'influenza sempre più rilevante sul diritto penale degli Stati membri. A partire dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, tale influenza coinvolge espressamente anche le scelte di criminalizzazione, potendo l'Unione operare direttamente la decisione circa l'an e in parte anche il quantum di pena. Le istituzioni dell'Unione hanno già iniziato ad adottare direttive in materia penale impiegando quale base giuridica l'art. 83 TFUE, e ci si può ragionevolmente attendere che tale prassi si consolidi e aumenti il numero degli atti adottati, andando così a costituire un corpus normativo di crescente rilevanza per gli ordinamenti nazionali e in ultima analisi per i singoli individui. La tesi ripercorre le più importanti tappe che hanno condotto all'attuale sviluppo della competenza penale europea, soffermandosi principalmente sul quadro istituzionale introdotto dal Trattato di Lisbona (capitolo primo). Successivamente fornisce un sintetico riepilogo degli strumenti istituzionali e normativi di maggiore rilievo nel settore considerato e delle loro più rilevanti caratteristiche (capitolo secondo), passando poi ad effettuare una disamina dei principali atti sino ad oggi adottati, prima nel vigore del terzo pilastro e poi sotto la base giuridica fornita dal Trattato di Lisbona (capitolo terzo). Infine, prova a verificare la presenza, i caratteri e la giustiziabilità dei fondamentali principi della legislazione penale nell'ordinamento dell'Unione europea, alla luce della normazione vigente e della giurisprudenza della Corte di giustizia (capitolo quarto), per poi tentare di affermare la sussistenza di basi fondative per lo sviluppo di una vera e propria politica penale europea. ; European Union law today has an increasingly relevant influence on national criminal law. Since the entry into force of the Treaty of Lisbon, this influence has expressly involved the choices of criminalization as well, as the European Union may directly operate the decision on if and partly how much to punish. The institutions have already begun to adopt directives on criminal matters using art. 83 TFEU as a legal basis, and one can reasonably expect that this practice will consolidate and that the number of measures adopted will increase, thus creating a corpus of legislation which has a growing relevance on the national legal systems and, ultimately, on individuals. The dissertation recalls the most important landmarks that have led to the present development of the European criminal competence, focusing mainly on the institutional framework adopted by the Lisbon Treaty (chapter one). Later, it provides a brief recall of the institutional and legal instruments that have a main role in the relevant subject and of their main characteristics (chapter two). Then, it moves to deal with the main legal acts that have been adopted till now, first in the third pillar framework and then under the legal basis provided by the Lisbon Treaty (chapter three). Eventually, it aims to verify the presence, the characteristics and the possibility to be appealed to on a trial of the fundamental principles of criminal legislation, in the light of the legislation in force and of the case law of the CJEU (chapter four), in order to attempt to maintain the existence of founding basis to the development of an actual European criminal policy.
L'applicazione efficace delle norme rappresenta un elemento di importanza cruciale per l'operatività dell'ordinamento giuridico dell'UE, la cui implementazione dipende dagli Stati Membri; a questi ultimi e alle autorità nazionali è imposto di assicurare il rispetto del diritto dell'Unione e di sanzionarne le violazioni. Il rispetto del principio di autonomia implica che gli Stati Membri dispongono di ampia libertà nella selezione e nella determinazione degli strumenti necessari a questi scopi, e crea una sostanziale dicotomia tra l'applicazione sostanzialmente uniforme della normativa comunitaria nei vari ambiti nazionali e un quadro potenzialmente assai divergente e disarmonico per quel che riguarda i vari regimi di enforcement. Pur se nei vari Stati Membri vengono implementate regole analoghe o identiche, la loro violazione può produrre effetti assai diversi a seconda dei singoli ordinamenti nazionali e può comportare, di conseguenza, una differenziazione dell'efficacia della normativa considerata nei vari Paesi dell'Unione. Spetta quindi al giudice nazionale determinare il il rispetto dei principi di effettività e di equivalenza; il processo di valutazione imposto dalla Cgue alle corti nazionali si basa sui concetti fondamentali di coerenza della disposizione interna con le regole di analoga natura presenti nell'ordinamento e di effettiva dissuasività della specifica misura sanzionatoria. Va tuttavia considerato come nell'elaborazione di tali criteri, la CGE abbia fornito una serie di requisiti che non sono caratterizzati da un elevato grado di specificità, pervasività e capacità di influenza negli ordinamenti nazionali, e in particolare non sembrano essere in grado di produrre un effetto di uniformazione delle valutazioni dei giudici nazionali negli aspetti considerati sia tra i vari Stati Membri che all'interno dei singoli ordinamenti considerati; le caratteristiche e le specifiche disposizioni previste nei vari contesti nazionali conservano la loro rilevanza rispetto ad una caratterizzazione in senso "comunitario" in particolare del principio di effettività; in questo senso il ricorso alla formula "sanzioni effettive proporzionate e dissuasive" non sembra quindi aver consentito un'uniformazione delle tutele ma abbia prodotto una serie differenziata di risultati. L'ultimo aspetto che è possibile sottolineare è quello relativo alla previsione di strumenti accessori che, pur non influendo necessariamente sul quadro specifico di sanzioni previsto a livello nazionale, siano in grado di aumentare la chiarezza ed effettività dei controlli delle autorità nazionali e delle tutele accordate ai lavoratori e produrre di conseguenza un effetto antiabusivo e influire positivamente sulla regolazione e la protezione dei diritti dei lavoratori. In questo senso procede la Direttiva 2014/67 sull'applicazione della Direttiva 96/71, sulla base di due direttrici fondamentali: da un lato la specificazione delle modalità relative all'accesso alle informazioni, alla cooperazione amministrativa tra le autorità nazionali e ai meccanismi di controllo imposti ai prestatori di servizi e la previsione di criteri ai fini dell'individuazione di un distacco "autentico". Dall'altro la previsione di specifici meccanismi rimediali - e in particolare, il regime della responsabilità solidale per i crediti da lavoro - e la disciplina di un sistema di esecuzione transfrontaliera delle sanzioni amministrative, basato su obblighi di informazione e cooperazione tra le autorità dei vari Stati Membri. Gli strumenti e le procedure della Direttiva 2014/67 interagiscono quindi con l'ordinamento degli Stati Membri da un lato chiarendo o specificando le previsioni della Direttiva 96/71 riguardo le modalità utilizzate e i criteri seguiti dalle autorità e servizi ispettivi nelle varie attività di monitoraggio e controllo del lavoro tramite distacco, e dall'altro innovando per quanto riguarda gli apparati per la tutela degli abusi che devono essere stabiliti a livello nazionale al fine di predisporre una una tutela effettiva per i lavoratori coinvolti in questa specifica forma di mobilità intracomunitaria.
Ogni anno più di 350.000 tonnellate d' idrocarburi vengono riversate in mare, di cui ben il 75% per errore umano. Ogni minuto nel solo Mediterraneo viene scaricato un equivalente di 33.800 bottigliette di plastica, per un totale di 570.000 tonnellate l'anno e si stima che in mare ve ne siano già 150 milioni di tonnellate. Solo all'Unione Europea i danni da inquinamento costano 320 miliardi di euro l'anno e i danni per il cambiamento climatico derivante circa 11,1 miliardi di euro l'anno. Questi dati preoccupanti rendono inconfutabile l'incidenza negativa sull'ambiente, sull'economia e sulla salute. Pertanto è lecito affermare, rimanendo in linea con la giurisprudenza, che l'inquinamento è e va affrontato come un disastro. La consapevolezza di tali rischi ha portato, già dalla seconda rivoluzione industriale, all'elaborazione delle prime convenzioni e dei primi accordi in materia, anche se queste erano ancora da ritenersi acerbe. Tuttavia, la vera presa di coscienza è avvenuta solo a valle del tragico incidente della petroliera Torrey Canyon che, nel 1967: questo episodio ha scosso gli animi internazionali avviando un nuovo sviluppo normativo e ponendo l'attenzione al principio della prevenzione. L'ambiente è così diventato un bene trasversale: tutte le convenzioni, le leggi e le normative sono ritenute applicabili solo dopo un'attenta valutazione delle stesse, in quanto tutti i livelli pongono, ormai, uno sguardo attento alla questione. Ad esempio, progetti navali devono rispettare le regole ben esposte da MARPOL 73/78 e in particolari casi quello del Polar Code, ed è ormai obbligatoria una copertura assicurativa volta al risarcimento immediato di eventuali danni. L'applicazione a livello nazionale di queste convenzioni e normative, che sono alla base del T.U.A. - vale a dire il monitoraggio del buono stato ambientale, il suo mantenimento e l'eventuale ripristino - è attualmente limitata alla campionatura in situ per mezzo di unità navali e al tracciamento satellitare dei fattori inquinanti. Forte spinta, in ...
Ancora oggi, pur in presenza di una diffusa tendenza alla semplificazione in vari ambiti, il sistema dei servizi è molto complesso, interconnesso su aree comuni fra politiche scolastiche, lavorative, abitative, assistenziali, sociali e sanitarie ecc., e in presenza di molte professioni nuove e contigue. Tale contesto pone il problema dell'intelligibilità delle risposte, del loro rapporto con la limitatezza delle risorse e più in generale del diritto all'accesso. A questo diritto e alla fruizione delle erogazioni sociali, nel senso lato del termine, non si onora soltanto con la messa a disposizione di dati in forma meccanica, ma passa attraverso la comunicazione. È la comunicazione che facilita e porta a scelte consapevoli non di dipendenza, ma di autonomia. In questa logica appare evidente che il diritto a sapere e saper fruire sta alla base della garanzia dell'esercizio dell' autodeterminazione, intesa anche come il livello più alto di cittadinanza che si manifesta nell'autorealizzazione e si trasforma nella capacità di portare il proprio contributo partecipativo nella propria comunità di vita. Il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003 affronta il tema dell'informazione con modalità molto chiare e decise. Vi si afferma che "la complessità dei fenomeni legati ai mutamenti sociali richiede una forte innovazione nella definizione delle politiche sociali" da realizzare attraverso varie linee direttrici, fra le quali si annoverano "la partecipazione attiva delle persone nella definizione delle politiche che le riguardano, (…) il potenziamento delle azioni per l'informazione, l'accompagnamento, gli sportelli per la cittadinanza". Le linee direttrici per l'innovazione sono considerate trasversali rispetto alle aree di intervento e alle tipologie dei servizi e richiamano aspetti organizzativi fra i quali per primo il segretariato sociale, tema di cui si sta trattando in questo studio, che viene istituito per "rispondere all'esigenza dei cittadini di avere informazioni complete in merito ai diritti, alle prestazioni, alle modalità di accesso, e di conoscere le risorse sociali disponibili (…) che possono risultare utili per affrontare le esigenze personali e familiari nelle diverse fasi della vita". Il testo non si ferma al campo dei servizi sociosanitari, né alla condizione di bisogno, ma parla in generale delle risorse per le varie fasi della vita, riconoscendo la globalità del bisogno nella complessità dei servizi. L'allargamento delle risposte che il segretariato sociale deve garantire pone il problema di come si organizza un servizio. Un servizio di segretariato sociale unitario che riesca a coordinare l'attuale miriade di servizi informativi esistenti.
L'analisi condotta nel presente studio si è sviluppata descrivendo innanzi tutto la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale. La VIA si basa sul principio dell'azione preventiva, in base al quale la migliore politica ambientale consiste nel prevenire gli effetti negativi legati alla realizzazione dei progetti anziché combatterne successivamente i risultati. La struttura della procedura viene concepita per dare informazioni sulle conseguenze ambientali di un'azione, prima che la decisione venga adottata, per cui si definisce nella sua evoluzione come uno strumento che cerca di introdurre a monte della progettazione un nuovo approccio che possa influenzare il processo decisionale negli ambienti imprenditoriali e politici, nonché come una procedura che possa guidare il processo stesso in maniera partecipata con la popolazione dei territori interessati. Obiettivo del processo di VIA è evitare, ridurre e mitigare gli impatti secondo il concetto di Sviluppo Sostenibile, definito come "uno sviluppo che soddisfi le nostre esigenze d'oggi senza privare le generazioni future della possibilità di soddisfare le proprie". La VIA nasce quindi come strumento per individuare, descrivere e valutare gli effetti diretti ed indiretti di un progetto sulla salute umana e su alcune componenti ambientali quali la fauna, la flora, il suolo, le acque, l'aria, il clima, il paesaggio e il patrimonio culturale e sull'interazione fra questi fattori e componenti. Essa si prefigge di proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione dell'ecosistema che è una risorsa essenziale per la vita. In questo lavoro di tesi l'attenzione si è focalizzata sulla risorsa suolo e come essa viene trattata negli studi di impatto ambientale. A tale scopo, nel capitolo III è stato approfondito il problema del consumo di suolo in Italia attraverso una ricerca promossa dall'Università dell'Aquila. L'esito degli studi effettuati ci mostra come in Italia sia in atto un consumo di suolo di notevole intensità che incide in termini di erosione diretta particolarmente sugli agro-ecosistemi, ma indirettamente crea disturbi e minacce su un'altra grande quantità e tipologia di ambienti naturali a causa dell'enorme frammentazione generata dagli interventi di urbanizzazione e, in particolare modo, dalle necessarie infrastrutture di collegamento. La perdita di suolo, in particolare quello agricolo, è stata maggiore dell'aumento del suolo urbanizzato a seguito della disseminazione insediativa (sprawl), che ha determinato una sottrazione di superfici agricole per una nuova urbanizzazione dispersa e a bassa densità che ha richiesto di conseguenza lo sviluppo di una diffusa rete di strade ed infrastrutture. La riduzione maggiore di terreno agricolo riguarda la superficie a seminativi e i prati permanenti, ossia i due ambiti da cui provengono i principali prodotti di base dell'alimentazione degli Italiani: pane, pasta, riso, verdure, carne, latte. Questo porta l'Italia ad un'insufficienza della produzione agricola per il proprio fabbisogno alimentare e quindi ad un aumento della dipendenza dalle importazioni. Lo studio è proseguito focalizzando l'attenzione sugli studi di VIA per la realizzazione delle Infrastrutture stradali di trasporto con particolare riferimento al tema del consumo di suolo e della salvaguardia delle risorse agricole. Il settore delle infrastrutture riveste un ruolo strategico e fondamentale per lo sviluppo economico nazionale ma è altresì uno dei settori che sicuramente esercita le più forti pressioni sulle risorse ambientali e naturali, capace di modificare totalmente interi ambiti territoriali con effetti sul consumo di suolo, sulla frammentazione del territorio e sull'intero contesto ambientale e paesaggistico. Sono stati analizzati i seguenti progetti: 1. Riqualifica con caratteristiche autostradali della SP46 Rho - Monza (Regione Lombardia) 2. Autostrada A4-A5 Torino Quincinetto - Ivrea - Santhià – Nodo Idraulico di Ivrea (Regione Piemonte) 3. Autostrada A1 – Adeguamento tratto di attraversamento appenninico Sasso Marconi - Barberino del Mugello (Regione Emilia Romagna) Dall'analisi dei tre casi emerge che esiste sempre un "fine superiore" che giustifica il sacrificio di porzioni di territorio agricolo (e fertile) e, di conseguenza, le eventuali attività agricole ivi presenti. In particolare, nei quadri di pianificazione, regionali e provinciali, ecc., gli obiettivi del miglioramento dei flussi di traffico, della mobilità, ecc. sono ancora "vincenti" nei confronti della salvaguardia dei suoli agricoli e della sicurezza alimentare finendo per avallare la dipendenza nazionale al trasporto su gomma. Aspetto rilevante emerso da quest'analisi è che il consumo di suolo non è molto considerato neppure in termini quantitativi e solo in alcuni casi ci si preoccupa di determinare l'occupazione effettiva da parte di nuove infrastrutture viarie, tralasciando o non considerando la inevitabile conseguenza della perdita o riduzione delle funzioni agricole dei terreni circostanti. Per una corretta analisi degli impatti reali del consumo di suolo con riferimento, ad esempio, alla produttività agricola, è necessario avere una visione più ampia che oltre al consumo di suolo effettivo, deve considerare anche quella parte di consumo qui definita "sommersa" e che si riferisce alla perdita di funzionalità per i terreni agricoli limitrofi (contigui) alle nuove opere infrastrutturali realizzate. Co questo si vuole sottolineare che, oltre alla singola porzione di terreno occupata, devono essere prese in considerazione le conseguenze e le perdite indirette che si generano nelle aree limitrofe. Per consumo sommerso s'intende quindi l'individuazione e la quantificazione delle aree che vengono a perdere o ridurre le loro funzioni originarie a causa del contatto con aree interessate in modo diretto dal consumo di suolo. Il presente lavoro si è posto l'obiettivo di proporre una metodologia di stima del consumo sommerso da utilizzare nelle procedure di VIA, in modo da fornire informazioni più adeguate e rispondenti riguardo l'effettivo consumo di suolo. Per la messa a punto della metodologia è stato analizzato il caso studio del progetto Sistema Tangenziale di Lucca. Per effettuare lo studio sul consumo di suolo è stato utilizzato il software Q-GIS (Geographical Information System) che ha consentito sovrapposizioni di strati informativi e , con operazioni di overlay, estrapolare i dati dalle cui elaborazioni è stato ricavato il consumo effettivo e il consumo sommerso di suolo con riferimento agli appezzamenti condotti da aziende agricole professionali. La proposta metodologica per la rilevazione del consumo sommerso di suolo è strutturata su due livelli di analisi. Il primo livello riguarda gli impatti sui terreni agricoli, cioè sulle singole particelle ARTEA; mentre il secondo rileva gli impatti sulle unità produttive, cioè sulle aziende agricole. Per quanto riguarda il primo livello di analisi, ovvero l'impatto sui terreni agricoli, è stata fatta una classificazione in termini dimensionali che ne determina la specifica funzionalità. La classificazione in base alla superficie S delle particelle è la seguente: • S 4000 mq: particelle adatte allo svolgimento di attività agricola professionale Le 269 particelle attraversate dal nuovo asse viario sono state quindi raggruppate per classi di superficie e per percentuale di impatto ed è stato notato che la maggior parte di esse si trova nella fascia con finalità intermedie, sia hobbistiche che professionali per l'agricoltura. I singoli terreni agricoli possono essere impattati in modi diversi dalla nuova infrastruttura prevista. Il primo modo prevede una detrazione di suolo tale da mantenere la precedente funzionalità, quindi la particella permane nella classe originaria. Il secondo modo implica invece una perdita di terreno agricolo causa di declassamento, ad esempio una particella con una superficie originaria compresa tra i 1000 e i 4000 mq dopo il passaggio della Tangenziale avrà una porzione residua di suolo inferiore ai 1000 mq e quindi subirà un passaggio da finalità intermedie a hobbistiche. Il terzo e più grave modo di impatto conduce alla perdita completa di funzionalità, si ha quindi un consumo di suolo così elevato da non permettere alcun tipo di attività. Le tre classi di terreni agricoli sono state analizzate considerando i tre modi di impatto descritti. Il secondo livello di analisi riguarda l'impatto sulle aziende agricole, classificate per superficie e per ordinamento produttivo. Le aziende agricole della Piana di Lucca che vedranno sottratti parte dei loro terreni per la costruzione del nuovo asse viario sono 98, distribuite su 269 particelle. Per una stessa azienda, infatti, vi possono perciò essere più particelle colpite. Sono state analizzate, quindi, le situazioni di specifiche aziende colpite in maniera significativa dalla realizzazione dell'infrastruttura e che hanno cioè registrato un'elevata frammentazione e/o un consumo di suolo notevole. In particolare sono confluite nel conteggio di consumo sommerso quelle porzioni di terreno che, in seguito al passaggio del Sistema Tangenziale, avranno una superficie inferiore agli 0,05 ettari. Le aziende agricole con gli impatti più rilevanti sono quelle che hanno una superficie assai ridotta, compresa tra 1 e 3 ettari per sei di esse e addirittura inferiore a 1 ettaro per quattro di esse. Siamo quindi in presenza di aziende che, anche in assenza di consumo sommerso, presentano un impatto molto significativo che può metterne in discussione la loro sopravvivenza. Per le aziende di dimensioni superiori l'impatto dipende dalla loro superficie complessiva ma anche dalla dispersione sul territorio. Ci sono infatti casi di aziende costituite da singole particelle sparse, la cui frammentazione determina un danno rilevante nonostante l'estensione totale dell'azienda ne garantisca la sopravvivenza. Infine si può affermare che la quasi totalità delle aziende che subiscono un impatto rilevante hanno territori agricoli adibiti a seminativi; ciò conferma la tendenza nazionale di riduzione maggiore di quella parte di terreno agricolo da cui provengono i principali prodotti di base dell'alimentazione degli Italiani. È importante sottolineare che alcuni passaggi operativi per la stima del consumo di suolo sono stati condotti "a mano", portando ad inevitabili errori. I dati ottenuti non pretendono quindi di essere numericamente corretti ma lo scopo è quello di illustrare una metodologia procedurale per una valutazione di impatto che dia una stima del danno quanto più realistica possibile. Il metodo proposto ha quindi permesso di evidenziare efficacemente il consumo di suolo sommerso, la perdita di funzioni produttive dei terreni agricoli e l'impatto sulle imprese agricole. La stima del danno tuttavia è esclusivamente di tipo qualitativo, motivo per cui, un possibile miglioramento della metodologia proposta, potrebbe essere l'introduzione di un indice che consenta una valutazione di carattere quantitativo. Nell'analisi condotta è stato fondamentale l'uso di un software gis (Q-GIS) che ha permesso di valutare in modo "automatico" i diversi impatti utilizzando i dataset (Catasto, Artea, uso suolo, ortofoto, ecc.) disponibili. Per concludere possiamo quindi affermare che la metodologia proposta potrebbe essere integrata a procedure di VIA per le infrastrutture stradali.